Non curare il proprio animale
Non curare il proprio animale può essere reato.
Una recente sentenza ha condannato il proprietario di un cane al pagamento di una ammenda in quanto la mancanza di cure veterinarie relative a volontaria negligenza ha causato gravi sofferenze al cane. La Corte di Cassazione ha confermato il reato penale accertato a settembre del 2011 e poi confermato dalla Corte di Appello di Bologna in quanto, secondo la sentenza, l'imputato, "in qualità di proprietario di un cane meticcio femmina, ometteva di adottare i provvedimenti necessari ad assicurare il benessere e la salute dell'animale mettendone in pericolo la sopravvivenza".
La vicenda si riferisce ad un cane trovato da alcuni operatori di canile, "vagante e in pessime condizioni di salute", come confermato dal Servizio Veterinario locale che accertava "vari tumori mammari di grosse dimensioni e ulcerati- dermatite in varie zone del corpo- calli da decubito e artrosi agli arti posteriori e anteriori".
Il proprietario non si riteneva punibile, perchè "non essendo un veterinario non si era reso conto della gravità della malattia del cane". Per i suoi difensori, ci sarebbe stata solo "trascuratezza e non una volontà di cagionare una sofferenza e una malattia al cane. ". La condotta dell'imputato "non ha cagionato una lesione al cane, in quanto la malattia individuata dal Veterinario (massa di probabile natura neoplastica) non è stata cagionata dal ricorrente; la malattia riscontrata - è sempre la tesi del ricorso- non può in alcun modo integrare l'elemento materiale richiesto dalla norma".
Di parere contrario la Corte d'Appello di Bologna che ha stabilito invece che "l'assenza di cure deve ritenersi dolosa, intenzionale e non già colposa, in quanto la condizione dell'animale era riscontrabile in maniera evidente". La differenza tra un comportamento doloso e colposo "è evidente" in riferimento all'articolo 544 ter del codice penale. Il proprietario, cioè, "con il suo comportamento omissivo, ovvero con totale abbandono e incuria del cane aveva cagionato notevoli sofferenze all'animale tanto da rendere necessario un immediato intervento chirurgico; la malattia era presente da molto tempo e la mancata sottoposizione del cane a idonee cure aveva comportato sicuramente gravi sofferenze al cane".
Infondate, insomma, le obiezioni del proprietario che sosteneva di non avere causato la malattia, "quello che rileva- dicono i giudici- è l'aggravamento sicuramente determinante gravi sofferenze".
La condanna- Il proprietario è stato condannato a pagare 10mila euro, le spese processuali e quelle (2.500 euro) sostenute dall'associazione ANPANA costituitasi parte civile.
La massima di Cassazione- Configura la lesione rilevante per il delitto di maltrattamento di animali, art. 544 ter, in relazione all'art. 582, cod. pen., l'omessa cura di una malattia che determina il protrarsi della patologia con un significativo aggravamento fonte di sofferenze e di un'apprezzabile compromissione dell'integrità dell'animale.
Una recente sentenza ha condannato il proprietario di un cane al pagamento di una ammenda in quanto la mancanza di cure veterinarie relative a volontaria negligenza ha causato gravi sofferenze al cane. La Corte di Cassazione ha confermato il reato penale accertato a settembre del 2011 e poi confermato dalla Corte di Appello di Bologna in quanto, secondo la sentenza, l'imputato, "in qualità di proprietario di un cane meticcio femmina, ometteva di adottare i provvedimenti necessari ad assicurare il benessere e la salute dell'animale mettendone in pericolo la sopravvivenza".
La vicenda si riferisce ad un cane trovato da alcuni operatori di canile, "vagante e in pessime condizioni di salute", come confermato dal Servizio Veterinario locale che accertava "vari tumori mammari di grosse dimensioni e ulcerati- dermatite in varie zone del corpo- calli da decubito e artrosi agli arti posteriori e anteriori".
Il proprietario non si riteneva punibile, perchè "non essendo un veterinario non si era reso conto della gravità della malattia del cane". Per i suoi difensori, ci sarebbe stata solo "trascuratezza e non una volontà di cagionare una sofferenza e una malattia al cane. ". La condotta dell'imputato "non ha cagionato una lesione al cane, in quanto la malattia individuata dal Veterinario (massa di probabile natura neoplastica) non è stata cagionata dal ricorrente; la malattia riscontrata - è sempre la tesi del ricorso- non può in alcun modo integrare l'elemento materiale richiesto dalla norma".
Di parere contrario la Corte d'Appello di Bologna che ha stabilito invece che "l'assenza di cure deve ritenersi dolosa, intenzionale e non già colposa, in quanto la condizione dell'animale era riscontrabile in maniera evidente". La differenza tra un comportamento doloso e colposo "è evidente" in riferimento all'articolo 544 ter del codice penale. Il proprietario, cioè, "con il suo comportamento omissivo, ovvero con totale abbandono e incuria del cane aveva cagionato notevoli sofferenze all'animale tanto da rendere necessario un immediato intervento chirurgico; la malattia era presente da molto tempo e la mancata sottoposizione del cane a idonee cure aveva comportato sicuramente gravi sofferenze al cane".
Infondate, insomma, le obiezioni del proprietario che sosteneva di non avere causato la malattia, "quello che rileva- dicono i giudici- è l'aggravamento sicuramente determinante gravi sofferenze".
La condanna- Il proprietario è stato condannato a pagare 10mila euro, le spese processuali e quelle (2.500 euro) sostenute dall'associazione ANPANA costituitasi parte civile.
La massima di Cassazione- Configura la lesione rilevante per il delitto di maltrattamento di animali, art. 544 ter, in relazione all'art. 582, cod. pen., l'omessa cura di una malattia che determina il protrarsi della patologia con un significativo aggravamento fonte di sofferenze e di un'apprezzabile compromissione dell'integrità dell'animale.